venerdì 25 novembre 2011

Craccati e connessi

Leggevo, su un grande quotidiano, un articolo dedicato ai rischi che sta subendo la telefonia mobile più avanzata di essere oggetto di malware, abuso di risorse, perdita di dati. Virus, worm, trojans individuati come rischi soprattutto per le app che si scaricano; cellulari zombie, usati dai pirati informatici, tramite trojan, per inviare spam o attaccare server. Mi fermerei qui, per una riflessione non tanto sui contenuti, quanto sul linguaggio, che giunge all’apoteosi di un apparecchio definito “craccato”. Lo confesso, faccio resistenza. Mi chiedo se non si ossa trovare il modo di coniugare in modo armonico ed efficace le app e, che so, la lingua degli stilnovisti. Beh, per me, uomo nato alla metà del secolo scorso, pensare a questa contemporaneità, per tanti versi sconcertante, porta inevitabilmente a ricordare i grandi scrittori che, nel corso del Novecento, scrissero di cosiddetta fantascienza. In particolare, a Isaac Asimov. Ad una sua conferenza, del 1974. Leggiamone un brano: “in tutta la storia c’era stata resistenza… una dura, esagerata, incredibile resistenza a qualsiasi avanzamento tecnologico significativo che aveva avuto luogo sulla terra. Normalmente a opporre resistenza erano quei gruppi che temevano di perdere la loro influenza, lo status, soldi etc. come conseguenza del cambiamento; Benché nessuno mai ammettesse tali ragioni all’origine della propria opposizione, anteponendo il bene supremo dell’umanità a interessi ben più meschini … Per esempio, quando
il servizio di diligenze a cavalli prese piede in Inghilterra, i proprietari dei canali che sino ad allora avevano avuto il monopolio del trasporto, obbiettarono non che i loro profitti sarebbero calati, (che era la realtà), ma che la grande velocità delle carrozze lanciate a quindici miglia orarie, avrebbe per il principio di Bernoulli risucchiato l'aria fuori dai polmoni dei passeggeri. Naturalmente la gente delle diligenze se la rideva di tali argomenti, giacché per confutarli bastava che loro spingessero la carrozza a quindici miglia all'ora con i passeggeri dentro e dimostrare così che non c'era alcun pericolo. Loro (i cocchieri) comunque ben memorizzarono gli argomenti dei loro oppositori, e li utilizzarono in seguito all'avvento delle ferrovie”. Dal che si può desumere una morale: mai temere che il proprio cervello venga risucchiato, per il principio di Bernoulli, a fronte delle realtà più avanzate. Basta soltanto utilizzarlo, questo sì.

venerdì 18 novembre 2011

Elogio della filosofia

Un libro molto interessante, uscito nel 2008 (ahimè già sulle bancarelle dei remainders … Proseguo comunque nella parentesi: sia lode al mercato dei remainders o a quello glorioso dei libri usati; chi sa cercare, può trovare tesori, puro godimento intellettuale). Ma parliamo del libro in questione: si tratta di “Elogio della filosofia”, di Maurice Merleau-Ponty, edizioni SE. Le molte pagine di grande interesse dedicate ad altri filosofi, soprattutto Bergson, contengono riflessioni a mio giudizio splendide proprio su questo sapere controverso, a volte opaco, a volte scintillante: la filosofia. Facciamo parlare Merleau-Ponty: “[…] per lui (Bergson, n.d.r.) non c’è un luogo della verità, dove si debba andare a cercarla costi quello che costi, anche spezzando i rapporti umani e i legami della vita e della storia. Il nostro rapporto con la verità passa attraverso gli altri. O andiamo verso la verità con loro, o non è verso la verità che andiamo”. Il senso fortemente relazionale della verità è orientato ad un essere-nelmondo il cui orizzonte è aperto dagli altri e agli altri. Ma, “se la verità non è un idolo, per parte loro gli altri non sono degli dei […] Non ci si può attendere da un filosofo che vada al di là di ciò che egli stesso vede, né che fornisca precetti dei quali non è sicuro”. E qui entra in gioco la dimensione della responsabilità individuale: “non si servono le anime con l’approssimazione e l’impostura”. E ancora: “Ciò che rende filosofo il filosofo è il movimento che riconduce senza posa dal sapere all’ignoranza, dall’ignoranza al sapere, e una specie di stasi in questo movimento…”. Lo sguardo del filosofo è rivolto al mondo, ma la linea è quella dell’io-tu: non si fugge da noi stessi, neppure filosofando.

venerdì 11 novembre 2011

Autonomia e speranza

Quando si pensa alla costruzione di un processo ordinato, che dal bisogno sia capace di muoversi verso possibili soluzioni, si deve immaginare una prospettiva di analisi e di lavoro il più possibile ampia. Questo è ancora più necessario quando si tratta di o con categorie ampie e assai differenziate, come i giovani, di cui vorrei parlare oggi. Si parla molto della urgenza di costruire “politiche giovanili”: ma da cosa partiamo? Cosa sono, i giovani? Non oggetti da gestire, ma persone e cittadini che già oggi possiedono capacità da mettere all’opera per contribuire a generare idee e ad immaginare risposte per affrontare le sfide attuali della convivenza sociale. Oggi si parla di empowerment: favorire le condizioni perché un determinato gruppo sociale possa essere attore protagonista della comunità del presente e del futuro. È allora indispensabile ragionare sulle connessioni tra i/le giovani e la comunità. Comunità intesa come l’insieme (di natura fisica, sociale e simbolica) di beni e responsabilità che individui diversi necessitano di avere in comune per potere vivere una vita dignitosa; e anche, l’insieme delle relazioni mediante le quali si producono, si mantengono, si migliorano i beni e le responsabilità in comune. Quindi, la partecipazione sociale e politica costituisce il dispositivo essenziale per produrre, mantenere e migliorare i beni e le responsabilità comuni. ”Essere giovani vuol dire tenere aperto l'oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro”, ha scritto Bob Dylan. È noto come, negli ultimi anni, le nostre società siano profondamente cambiate: da una parte le opportunità di scelta ed azione sono aumentate ed il riconoscimento formale della libertà di realizzarsi in autonomia si è progressivamente affermato in sempre più sfere della vita; dall’altra, lo sviluppo delle nostre società ha generato uno scenario sociale caratterizzato da incertezza, rischi e insicurezza. I giovani sono nel pieno delle potenzialità auto-espressive, eppure sono anche vittime di uno scenario sociale che li rende fragili ed esclusi. Occorre costruire, insieme a loro, strategie di autonomia. Costruire un principio-speranza, per usare il termine di Ernst Bloch. Autonomia e speranza, un binomio fatto di stile cognitivo e di capacità di agire, che, a partire dai giovani, possa farsi davvero stile e cifra di una comunità.

sabato 5 novembre 2011

Individui e autonomia

Abbiamo vissuto, negli ultimi anni, una realtà in cui si è affermato un processo di individualizzazione. Questo è accaduto in diversi contesti esperienziali: nella società, nel lavoro, nella famiglia, dal percorso formativo al vissuto quotidiano. Questo è accaduto anche nell’ambito della partecipazione politica. Ora, l’individualizzazione è un accadimento storico che ha portato enormi e positive novità: l’investitura individuale nei processi cognitivi e formativi, nella creazione artistica, nell’espressione del genio. Pure il modo di produzione capitalistico nasce da questa onda lunga, e i movimenti di massa del Novecento, pur se nati su un modello di agire collettivo, non hanno niente a che vedere con una massa informe e senza volto. Ma, se nella sfera pubblica si afferma un pluralismo di interessi particolaristici, categoriali, settoriali, privo di una direzione elettiva ispirata ad un qualche bene pubblico, o almeno da una idea di pubblica utilità, l’individualismo diventa un dato allarmante per i meccanismi della convivenza. Può accadere, allora, che l’incertezza si estenda alla validità stessa del concetto di democrazia. Vorrei accennare brevemente ad un ragionamento che meriterebbe di essere sviluppato in maniera approfondita. L’individualismo nella declinazione sopra tratteggiata di cura del “particolare” corrisponde ad uno stato di minorità proprio di un individuo in forte difficoltà ad affermare le sue ragioni in un contesto relazionale. Siamo autonomi, quando riusciamo a entrare in un gioco di rapporti e mediazioni tale da costituire uno spazio sufficientemente ampio di scambi simbolici allargati. L’autonomia è tratto distintivo dell’individualità, ma la si gioca sempre in un contesto relazionale: altrimenti, diventa solipsismo o solitudine. Insomma, non si è mai autonomi da soli, ma in un contesto di relazioni. Così come una mano è autonoma nell’afferrare un oggetto, ma si nutre e si rapporta al contesto del corpo umano.