sabato 28 aprile 2012

Maestro di verità


John R. Searle, pensatore che si occupa di filosofia del linguaggio e di filosofia della mente, sostiene che la realtà "naturale" è del tutto indipendente da ogni umana rappresentazione perché è una questione di particelle, descrivibile in toto con le leggi della chimica e della fisica. Il mondo è uno e tutto determinato da processi biofisici; poi però ci sono gli umani, che, grazie al linguaggio, creano e rappresentano gli atti sociali in base all’intenzionalità collettiva come “conseguenza naturale della nostra struttura biologica”. Così ne parla, con mirabile sintesi, Francesca Rigotti. È il cosiddetto “nuovo realismo”, che, come giustamente sottolinea Rigotti, mette a rischio il contributo fondamentale che le metafore portano alla nostra capacità cognitiva. Se ogni realtà è indipendente da ogni umana rappresentazione, per esempio, si perde il “di più” che la parola poetica è capace di dare sulla realtà stessa. “Una buona rinfresca l’intelletto”: lo diceva Ludwig Wittgenstein. Secondo il pensatore austriaco, le risposte ai nostri problemi ed alle nostre inquietudini intellettuali non possono venire soltanto da mosse e strategie teoriche, ma dal mutamento del nostro modo di vivere. Di qui, la particolare evidenza, ad esempio in Robert Musil, dell’elaborazione letteraria in termini di metafora delle strutture concettuali e teoriche più astratte. Quasi come se, per conoscere la verità, una buona metafora fosse davvero essenziale. La poesia, fosse essenziale. Io ne sono convinto. L’amore può essere descritto come un fatto di ossa, muscoli, nervi, circolazione sanguigna eccetera, ma cosa è l’amore, ce lo dice solo la poesia. Leggiamo questo brano di Marcel Detienne (« Les maitres de vérité dans la Grèce archaique ») : « Funzionario della sovranità o encomiante la nobiltà guerriera, il poeta è sempre un "Maestro di verità". la sua "Verità" è una verità assertiva; nulla la contesta, nulla la dimostra. "Verità" fondamentalmente diversa dalla nostra concezione tradizionale, aletheia non è l'accordo della proposizione e del suo oggetto, nemmeno l'accordo di un giudizio con altri giudizi; essa non si oppone alla "menzogna"; non vi è il "vero" di fronte al "falso". La sola opposizone significativa è quella tra aletheia e lete. A questo livello di pensiero, il poeta è veramente ispirato, se il suo verbo si fonda su un dono di veggenza, la parola tende a identificarsi con la "Verità"»

sabato 21 aprile 2012

Un esempio di bene comune


A Berlino, città d’Europa tra le più dense di storia e di cultura, nidificano 130 specie di uccelli e crescono 420 mila alberi. “Unter den Linden”, il viale dei tigli, è una delle strade più belle ed evocative della città: quando questa era sfregiata dal muro, i tigli stavano nella parte orientale. Attigua al viale c’è la Bebelplatz. Qui, il 10 maggio 1933, nell’allora “piazza dell’Opera”, i nazisti bruciarono, in un immane rogo, circa 25.000 libri ritenuti pericolosi. La distruzione è ricordata da un'opera di Micha Ullman: un pannello luminoso, inserito sulla superficie della strada, che lascia intravedere una camera piena di scaffali vuoti. Accanto, una targa con una citazione di Heinrich Heine, il grande poeta romantico, progressista, che aveva denunciato la “caserma prussiana”: «Quando i libri vengono bruciati, alla fine verranno bruciate anche le persone». Adesso sappiamo quanto queste parole fossero tragicamente premonitrici. Recentemente, nella stessa piazza – intitolata nel 1947 all’uomo politico socialdemocratico August Bebel – si è svolta la mostra “United Buddy Bears”: oltre 140 sculture a forma di orso, ognuna creata da un artista diverso, che si tengono per mano l'una accanto all'altra, a simbolo della tolleranza e della convivenza pacifica tra le culture e le religioni. La città cosmopolita, spregiudicata e colta degli anni prima del nazismo, la città che fu poi simbolo del potere hitleriano, devastata dalla guerra, il cui Reichstag, il Parlamento, ha oggi una cupola di vetro – trasparenza e luce –possiede un enorme spazio libero: l'ex-aeroporto Tempelhof, che è adesso un Volkspark (parco pubblico). Nel 1926, qui nacque la Lufthansa; nel 1936, venne costruito l’edificio forse, al tempo, più grande del mondo. 1,3 chilometri di saloni di granito in cui gestire il traffico aereo ed accogliere i viaggiatori nel Reich che si definiva millenario. Nel 2008, l’aeroporto viene chiuso. La vasta superficie all'aperto di 386 ettari e uno dei più grandi edifici del mondo, il tutto in una zona centrale, sono destinate ad un uso pubblico: diventano un bene comune. Non so: sono rimasto affascinato da questa cosa. Il vuoto di un tale spazio nel pieno della città. Il verde, le piste ciclabili, quelle per skateboard o per jogging; superfici per grigliate o per cani o per picnic. Lo spazio, insisto: lo spazio, per tutti. Gli ingressi aperti dall'alba al tramonto. Non so: mi sembra una bella metafora per il bene comune, per l’amministrazione pubblica, per il concetto filosofico e spaziale di apertura.

domenica 15 aprile 2012

Il labirinto

C’è un agire politico di matrice aristotelico- cristiana (l’agire politico è in vista del bene comune della città) e uno, definibile realistico-machiavellico (l’agire politico è autonomo dall’etica e chi governa non è giudicabile con le norme con cui si giudicano le persone comuni). Così scriveva Norberto Bobbio, importante filosofo della politica. A ciò faceva seguire il richiamo ad una azione politica condotta con rinnovato senso etico, affermando che “ il fondamento di una buona repubblica, prima ancora delle buone leggi, è la virtù dei cittadini”. Una virtù pubblica è la mitezza: è la “non violenza attiva” di Gandhi, la politica non violenta del mite, che rispetta l’altro, lo accetta per quel che è, lo aiuta a realizzare se stesso e gli riconosce i suoi diritti. In un passo della sua “Autobiografia” dedicato a «il problema della guerra e le vie della pace», Bobbio parla del labirinto “Chi entra in un labirinto sa che esiste una via d’uscita, ma non sa quale delle molte vie che gli si aprono innanzi di volta in volta vi conduca. Procede a tentoni. Quando trova una via bloccata torna indietro e ne prende un’altra. Talora la via che sembra più facile non è la più giusta; talora, quando crede di essere più vicino alla meta, ne è più lontano, e basta un passo falso per tornare al punto di partenza. Bisogna avere molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare, come si dice, un passo per volta, e di fronte ai bivi, quando non si è in grado di calcolare la ragione della scelta, ma si è costretti a rischiare, essere sempre pronti a tornare indietro”. È insomma necessario che “non ci si butti mai a capofitto nell’azione, che non si subisca passivamente la situazione, che si coordinino le azioni, che si facciano scelte ragionate, che ci si propongano, a titolo d’ipotesi, mete intermedie, salvo a correggere l’itinerario durante il percorso, ad adattare i mezzi al fine, a riconoscere le vie sbagliate e ad abbandonarle una volta riconosciute”. Note che il vostro commentatore ha voluto riprodurre integralmente, quasi un viatico ed una speranza per attraversare il labirinto della nostra vita quotidiana, pubblica e privata. “Come ho detto tante volte, la storia umana, tra salvezza e perdizione, è ambigua. Non sappiamo neppure se siamo noi i padroni del nostro destino”. Ma dobbiamo agire come se lo fossimo.