sabato 31 marzo 2012

La paura prende alle spalle

Ares, dio greco della guerra, dell’ira e della violenza, scendeva in battaglia affiancato dai figli Deimos (il terrore) e Phobos (la paura). La paura appartiene intimamente alla vita psichica umana: dà l’allarme immediato ad una situazione di pericolo, fa scattare difese, predispone alla trincea ed alla protezione, è fondamentale per sopravvivere. Ma può essere paralizzante. Se l’origine della ha carattere fondamentalmente corporeo e psicologico, le strategie per il suo controllo sono essenzialmente cognitive. Ogni epoca ha le sue paure. Gli antichi avevano terrore dei fenomeni naturali, per loro inspiegabili: dal tuono alla folgore, alle eruzioni dei vulcani. Nel Medioevo si temeva il contagio della peste, verso cui le persone si sentiva completamente esposta, priva di difese. Oggi invece abbiamo paure diverse: la bomba atomica, il terrorismo, le armi biologiche. Ci sono paure dettate dall’ignoto e altre, al contrario, dal fin troppo noto. Era la sera del 30 ottobre del 1938, la sera prima di Halloween, quando la stazione radiofonica statunitense della CBS decise di mandare in onda uno show speciale: un radiodramma, affidato all’attore Orson Welles. Ebbe così origine la più grande opera di manipolazione mediatica ad oggi realizzata, capace di gettare nel panico migliaia di americani provenienti da ogni strato sociale. La versione radiofonica di “La guerra dei mondi” di H. G. Wells convinse migliaia di cittadini che i marziani avevano iniziato l’invasione della Terra, e provocò scene di panico, ingorghi stradali, il default delle comunicazioni, una sorta di isteria collettiva. Era cominciata con: “Signore e signori, vogliate scusare per l’interruzione del nostro programma di musica da ballo, ma ci è appena pervenuto uno speciale bollettino della Intercontinental Radio News. Alle otto meno venti, ora centrale, il professor Farrell dell’Osservatorio di Mount Jennings, Chicago, Illinois, ha rilevato diverse esplosioni di gas incandescente che si sono succedute a intervalli regolari sul pianeta Marte. Lo spettroscopio indica che si tratta di idrogeno e che si sta avvicinando verso la terra a enorme velocità”. Il grande regista Steven Spielberg, molti anni dopo, ha diretto un film, basato sempre sul romanzo di Wells, in cui dallo spazio arrivano mostri distruttori e invasori, alieni terribili senza alcuna “umanità”. Niente a che vedere con il dolce ET o con gli esseri, appena intravisti, di “Incontro ravvicinati del terzo tipo”. Parrebbe che anche Spielberg si sia fatto catturare dalla grande paura dell’ignoto che ha casa nel nostro mondo, al di là di una realtà in cui ormai sono pochi i fenomeni naturali sconosciuti, ma dove altre paure turbano i sogni e la veglia. Perché la paura, spesso, prende alle spalle.

Flora e Fiori

La dea Flora è rappresentata, in una festa di grazia e di bellezza, da Sandro Botticelli nel suo splendido dipinto “La primavera”. Un omaggio alla bellezza, condotto con grande maestria, con cultura alchemica e simbolica, un impianto metaforico eccezionale e una poesia insuperata. Flora, questa dea lucente, era una antica divinità italica che presiedeva alla fioritura: la bellezza del fiore, ma anche la promessa di un buon raccolto. La dea divenne, quindi, simbolo della primavera e protettrice, oltre che dell’agricoltura e dell’apicultura, della giovinezza e delle donne che desideravano un figlio. Dal 28 aprile al 3 maggio, nell’antica Roma, in un tripudio di fiori, si celebravano le Floralia, feste solenni, in onore della “ministra di Cerere”, dea delle messi. Il rapporto tra i fiori ed il mito è forte: Aiace viene trasformato in un giacinto, e Giacinto era il nome di un giovinetto, amato da Apollo e da Zefiro, ucciso per gelosia e trasformato da Apollo nel fiore omonimo. Clizia ama in modo disperato lo stesso Apollo, fino a lasciarsi consumare d’amore, e questi la trasforma in un girasole. Ma anche nel mondo cristiano, il linguaggio dei fiori è molto presente: le “infiorate” erano frequenti, durante le feste comandate e le pratiche devozionali, e uno degli epiteti della Vergine Maria è “rosa mistica”. La simbologia della rosa percorre, attraverso secoli, il pensiero teologico e mistico. Il Fiore de’ Fiori , un manoscritto alchemico, fu un’opera importantissima nel Medioevo. Ma torniamo a Maria, per leggere insieme parte della bellissima preghiera che Dante Alighieri, nella Commedia, fa proferire a San Bernardo […] Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore […]. Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate.

sabato 17 marzo 2012

I diritti

Chi è, il cittadino? Il concetto, quasi sempre declinato insieme a quello di sovranità, è stato inteso storicamente come attribuzione esclusiva di diritti opponibili a chiunque abbia una diversa nazionalità. Accanto a questa definizione, tuttavia, vi è un'interpretazione parallela per la quale ogni cittadino è titolare di diritti universali. È il cosiddetto modello societario: la cittadinanza è la partecipazione dell'individuo al destino della comunità in cui vive. È evidente come il tema sia molto urgente oggi, visto l’interscambio tra i popoli sempre più accelerato. Ovviamente, i diritti di cittadinanza esprimono una serie di libertà che evolvono nel tempo: la nozione non può, quindi, essere statica. Libertà di autodeterminazione, libertà di parola, diritto alla sicurezza personale, libertà di culto, libertà di stampa e di informazione, diritto di sciopero, diritto di manifestazione pubblica; diritto al voto, diritto di elezione, diritto di associazione partitica; diritto di proprietà privata, e anche, il libero mercato. Poi, solidarietà sociale, diritto all’assistenza sanitaria, pari opportunità di lavoro, diritto all'istruzione. Fino a giungere al diritto di decidere sul proprio corpo: ad esempio, la libertà dell'orientamento sessuale e il diritto di aborto. La materia è molto ampia. È titolare dei diritti il cittadino sovrano, non suddito: una conquista della Rivoluzione francese e, prima ancora, di quella inglese e di quella americana. È una conquista fondamentale, da cui non possiamo tornare indietro, se vogliamo che la convivenza civile raggiunga ulteriori traguardi. Ma non possiamo pensare che la storia vada sempre avanti. Dobbiamo affrancarci dall’idea che la storia sia un progresso ininterrotto dell’umanità da uno stato di soggezione. Cambia il panorama della storia, cambiano anche i diritti. La domanda da porre è quanto il mutamento contribuisca a far crescere cittadinanza piena e responsabile, o quanto, magari in forme oblique, possa riproporre il modello di sudditanza.

sabato 10 marzo 2012

Luci e ombre del progresso

Il mito del progresso è tra i più potenti che la storia del’umanità abbia prodotto. Progresso illuminismo razionalità, contrapposti ad oscurantismo sanfedismo sonno della ragione. La fede acritica nel progresso può essere, appunto, una fede. Accade quando il progresso, invece che un sistema dinamico di relazioni, scoperte, inclinazioni, discussioni, diviene un feticcio buono per giustificare o avvalorare decisori e decisioni senza contestualizzare gli uni e le altre. Una cosa che è progresso in un’epoca può essere oscurantismo in un’altra. La rivoluzione industriale fu senz’altro un momento di progresso dell’umanità; le devastazioni sociali che produsse, l’inquinamento, la depredazione delle risorse naturali ebbero come contropartita il poter gettare le basi di un sistema di vita più egualitario e garantito. Oggi, non è più così. Oggi progresso significa non sfruttamento ma uso oculato, non crescita ma, addirittura, decrescita, non dominio sulla natura ma rispetto e ascolto. Scriveva Nietzsche: “ Si chiami pure “ civilizzazione “ o “ umanizzazione “ o “ progresso “ ciò in cui oggi viene cercato il tratto distintivo degli Europei; o lo si chiami semplicemente senza lode e biasimo, con una formula politica, il movimento democratico dell’ Europa; dietro tutte le ragioni morali e politiche ostentate, a cui si rimanda con tali formule, si compie un immenso processo fisiologico che si fa sempre più fluido – il processo di un’ omogeneizzazione degli Europei, il loro crescere distaccato dalle condizioni nelle quali sorgono razze legate al clima e alle classi, la loro crescente indipendenza da ogni milieu determinato che vorrebbe imprimersi per secoli sempre con le stesse esigenze nell’ anima e nel corpo – dunque la lenta ascesa di un tipo umano essenzialmente sovranazionale e nomade che, detto in termini fisiologici, possiede, come suo contrassegno caratteristico, un massimo di arte e forza di adattamento […]”. Adattamento e nomadismo, piuttosto che tendenza identitaria: ecco i segni del progresso, secondo Nietzsche. Il grande filosofo tedesco Ernst Bloch, alcuni decenni dopo, scriverà: “Il concetto di progresso non sopporta ‘cicli culturali’ nei quali il tempo è inchiodato allo spazio in modo reazionario, ma ha bisogno, in luogo di unilinearità, di un multiversum ampio, elastico, pienamente dinamico, un continuo e spesso intrecciato contrappunto delle voci della storia”. Il segno più fecondo dell’idea di progresso, oggi, è forse in questa capacità di contrappunto e di dinamicità. Progresso, insomma, versus pre-giudizio.

domenica 4 marzo 2012

Apollineo e Dionisiaco

Il professor Tullio Gregory, in un recente articolo, lamenta giustamente il fatto che la riforma del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) abbia ulteriormente marginalizzato il settore delle scienze umane: dalla filosofia all’economia, alla sociologia alla storia dell’arte, alla linguistica. Si tratta di un non nuovo “declassamento” delle scienze umane rispetto alle scienze “dure”: la fisica, la chimica, l’ingegneria, la geologia, e via dicendo. Un pregiudizio? Certamente, e, come tutti i pregiudizi, tanto self-evident, quanto difficile da sfatare. Si tratta dell’idea che le scienze umane siano poco adatte a confrontarsi con la contemporaneità. Vanno in questa direzione anche gli appelli che, tutti gli anni, si susseguono perché ragazzi e ragazze si iscrivano a facoltà “scientifiche” invece che rivolgersi ad una scelta umanistica. Posto che alcune discipline, come l’economia, sono difficilmente posizionabili nell’uno o nell’altro versante, mi domando quale miopia sia sottesa a questo pregiudizio. Non c’è di meglio, credo, di un laureato in filosofia per occuparsi, in una azienda, della cosiddetta “risorsa umana”, termine brutto per dire le persone che ci lavorano. L’abitudine alla flessibilità mentale e la capacità di relativizzare saranno di grande aiuto per la mediazione, il giudizio, la scelta. Non c’è niente di più potente ed efficace del mito per narrare e comprendere le grandi questioni di oggi. Gli archetipi culturali della Grecia antica (e ci sanguina il cuore, a vedere così in difficoltà, oggi, quel Paese) sono la chiave per capire tanti drammi e tipi umani, da chi uccide per amore, a chi è accecato da invidia e cupidigia, a chi si illude di potenza e precipita poi nell’errore e nel disonore. Affrontiamo meglio la crisi di oggi, se pensiamo ai grandi dilemmi, ai grandi sacrifici del mito: il fegato di Prometeo divorato da un’aquila, perché ha donato il fuoco agli uomini; l’odio implacabile di una donna offesa nel matrimonio e nell’amor materno, e Clitemnestra fa trucidare il tronfio marito Agamennone la sfida al dio punita come tracotanza, e Apollo, impassibile, fa scorticare vivo Marsia. Oggi ci sentiamo tutti un po’feriti da rapaci che volteggiano senza tregua, mentre noi umani non sappiamo come ripararci; traditi, e certo non possiamo reagire con la violenza di Clitemnestra; scorticati nella speranza, nell’attesa, nella fiducia. Leggiamo queste pagine: saremo meno smarriti.