lunedì 17 ottobre 2011

La parola e la violenza

L‘umanità ha fatto un percorso lunghissimo per passare dalla violenza del gesto alla discussione con la parola. Questo atteggiamento conquistato a caro prezzo dalla specie umana ha un presupposto forte: il rispetto, il senso rispettoso della comune appartenenza all’umanità come dato che ci lega all’altro/l’altra da noi. Quando questo presupposto viene a cadere, l’altro diventa essere, quando va bene, da ignorare, oppure da seviziare, da colpire, da distruggere. Eppure, nel mondo animale non umano è forte il senso di appartenenza alla specie. Ci sono certamente degli esempi di violenza endogena, ma, normalmente e tendenzialmente, il simile non attacca il simile, se non in circostanze eccezionali dal punto di vista climatico, spaziale etc. Nella specie umana, invece, la violenza tra simili è un dato, direi, anormale in quanto è sanzionato da leggi penali e norme morali, ma la repressione non cancella certo il fenomeno. Achille che strazia il corpo del vinto Ettore risponde ad un codice certamente primitivo, ma che vede nel ludibrio violento rivolto verso l’altro una modalità di agire non certo isolata. Nei campi di sterminio, i prigionieri erano chiamati attraverso un numero loro attribuito: un modo per depersonalizzare, per togliere umanità. Gli aguzzini ed i carnefici agiscono in quanto non riconoscono alle vittime lo status di essere umano. Lo stesso fanno i ragazzi che, in fatti di cronaca ahimè non così rari, si accaniscono contro i senza tetto o le persone in difficoltà o i portatori di handicap psicofisici. Paiono perdersi, in questi casi, i fondamentali dell’essere umano: non ci dovrebbe essere, forse, un naturale ribrezzo ad accanirsi nei confronti di chi è più debole? L’animale vittorioso in un duello non morde il collo che l’avversario vinto gli porge. L’animale uomo, invece, prende la mira e spara nella schiena di una madre che fugge con il figlioletto in braccio:una delle foto più tragiche della Shoah. Chi dobbiamo interpellare, quando ci troviamo di fronte quell’aggressività malsana, quella violenza inusitata che fraintende la crudeltà con la forza e l’affermazione della propria identità con l’accanimento fisico sul più debole ed il più indifeso? La filosofia non ha risposte definitive, ma può comunque continuare a porre le domande.

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