venerdì 17 febbraio 2012

Il libro non è affatto un lusso

Lucio Lombardo Radice, uno studioso ingiustamente poco conosciuto. Carlo Bernardini ha detto di lui che era “onnigrafo”: non si lasciava sfuggire nessuna occasione per intervenire, interloquire, esprimere la propria opinione. Vivace, attento, sempre presente. Già anziano, era andato a parlare in una scuola elementare, e un bambino aveva detto che era “vispo come un capretto”: un’immagine stupenda. Mi è venuto in mente, perché uno dei temi di cui si parla in questo oggi difficile, melanconico, ridotto all’osso, è la scuola. L’istruzione. Il sapere. Non che siano sinonimi: tutt’altro. Ma vediamo come li declinava Lombardo Radice (che era nato nel 1916). Fu matematico, pedagogista, politico. Fu partigiano, non solo durante la lotta di Liberazione, ma nell’affrontare i temi politici, etici, culturali del suo tempo. Leggiamo questo brano: “La cultura non gode buona fama nel linguaggio corrente (erano i primi anni ’60 del Novecento… doveva ancora venire la frase per cui con la cultura non ci si fa un panino, ndr); la scuola, poi, non ne parliamo. Quando qualcosa ci riesce incomprensibile, diciamo che è <<algebra>>; definiamo, con malcelato disprezzo, <<poesia>> le aspirazioni e le azioni che non procacciano utilità e ricchezza; sosteniamo, soprattutto se andavamo male a scuola, che «i primi della classe sono gli ultimi nella vita». Un quadro senza vita e uno scritto senza anima sono «compitini»; tutto ciò che è inutile e tedioso è «scolastico», tutto ciò che è lontano dalla vita è «libresco». Protesto contro i luoghi comuni d’ogni giorno, della lingua d’ogni giorno; protesto soprattutto contro la svalutazione del libro! Il libro non è affatto un lusso, è una necessità nella vita d’ogni uomo e d’ogni donna che vogliano essere davvero uomini, cioè vite che ereditano, e tramandano ad altre vite il patrimonio della civiltà”. Una rivendicazione sapiente e semplice di una eredità non mercantesca, non finanziaria, legata alla cultura, a ciò che – come dice la radice – ci coltiva e ci fa crescere. Ancora un brano, sulla scuola pubblica: “vorrei […] che la scuola pubblica divenisse una scuola di educazione positiva ai valori comuni, a quei valori di giustizia, di uguaglianza, di disinteresse, di ripugnanza a ogni privilegio, di democrazia reale, di progresso, di ragione aperta che sono il «credo comune» della stragrande maggioranza dei cittadini italiani”. Lo viviamo come un augurio ed una prospettiva, che caldeggiamo apertamente.

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