venerdì 16 dicembre 2011

Disincanto

Riflettevo che, tra le tante conseguenze della crisi di questi nostri tempi, dalla portata tale che serviranno molti anni per valutarle fino in fondo, emerge il tema del disincanto. Il grande teologo Dietrich Bonhoeffer, vittima del nazismo, sosteneva che l’ora del disincanto è “quell’ora imprevista e sconvolgente che provoca a cogliere il senso totale della vita”. Avremo tempo e modo di riflettere quanto la nostra incertezza scaturisca anche dal disincanto profondo che, nella vita e nel pensiero collettivo, ha portato la fine delle ideologie novecentesche, quegli apparati di pensiero che, in mezzo a tante tragedie, potevano far iscrivere il percorso di una singola vita in un orizzonte collettivo. Ma il disincanto è anche una condizione per il ritorno alla condizione libera. Il pensiero disincantato si desta da un sogno mortale e si pone domande: che cosa è successo? Perché è successo? Noi siamo il prodotto di energie fisiche ed intellettuali. Il corpo è governato dalle passioni, ma anche la mente. Il disincanto ci cambia in profondità. Si esce dalla favola bella, da una costruzione logica e strutturale che si voleva perfetta, capace di dare tutte le risposte, da una narrazione spesso ad hoc, per tornare ad abitare il dubbio e l’incertezza, per uscire dalla dimensione della risposta per accedere a quella della domanda. Con l’esperienza del disincanto il mondo che ci circonda ed il nostro mondo interiore non saranno mai più gli stessi: si perde la fiducia nei riferimenti precedenti, si acquista la capacità di camminare senza sostegni. Un passo dopo l’altro, un pensiero dopo l’altro, una domanda dopo l’altra. È come quando si cambia prospettiva, di colpo. Quando da un paesaggio si passa bruscamente ad un altro. Il filosofo Wittgenstein diceva: “guardala così”. Muta l’angolazione dello sguardo, la rifrazione di una luce, il suono di una voce, e l’incanto si spezza. È il disincanto. Dolorosa, ma è la libertà.

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