venerdì 23 dicembre 2011

Economia e Politica

Friedrich Engels non fu solo amico fraterno di Karl Marx e suo mecenate, ma studioso notevole, in specie di, potremmo dire, sociologia economica. In un suo scritto, “Violenza economica”, Engels, per contestare la teoria di Karl Dühring, economista tedesco, sul primato della violenza e sulla “proprietà fondata sulla violenza”, parte dalla teoria marxiana sul “diritto di proprietà”, che, con lo sviluppo della produzione di merci, diventa “diritto di appropriarsi lavoro altrui non retribuito”, per cui “la separazione tra proprietà e lavoro diventa conseguenza necessaria di una legge che in apparenza partiva dalla loro identità”. Tutto il processo viene spiegato da cause puramente economiche, nota Engels, “senza che neppure una sola volta ci sia stato bisogno della rapina, della violenza, dello Stato o di qualsiasi interferenza politica”. Questa analisi lucida ed impietosa della potenza dell’economia, che detta le proprie condizioni al di là della politica, torna alla memoria inevitabilmente, quando si analizza la situazione di questi nostri tempi. Recentemente, il sociologo tedesco Wilhlem Heitmeyer ha affermato che “il principio di razionalità insito nell’economia ha permeato sempre più il nostro modo di pensare, facendosi strada nei salotti, nelle scuole, nelle relazioni sociali. E secondo questi standard, gli immigrati, i senzatetto, i disoccupati, gli inabili valgono meno …”. E non ci sono segnali di vero e proprio conflitto, ma “apatia e disorientamento”. Di più: pare che l’intera economia sia a rimorchio del sistema finanziario. Il linguaggio della finanza ha permeato ogni ambito della civiltà, del discorso quotidiano. Michael Wood ha ricordato che “a uno studente di Oxford che le aveva detto di volersi laureare in storia, pare che Margaret Thatcher abbia risposto: “che lusso”. Ovvio: la storia non è “utile”. Ma studiare la storia, per esempio, insegna che i mercati non esistono senza un insieme di regole, procedure, strumenti operativi cui devono sottostare operatori ed agenti; il laissez faire è mera ideologia – questa sì – inapplicabile nelle società organizzate. L’assetto dei mercati incide sulla struttura dell’offerta e della domanda, sulla determinazione dei prezzi e sulla formazione di eventuali sacche di privilegi. Su questo dovrebbe intervenire la politica, per eliminare storture ed eccessi. Ma la politica sembra paralizzata e prigioniera, tra i tanti, delle agenzie di rating. Intanto, i regolamentatori USA hanno proposto di eliminare ogni ruolo di queste agenzie nella valutazione di rischi finanziari. Cosa auguriamo? Che la politica riprenda il suo posto. Di mediazione e di relazione.

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