sabato 14 gennaio 2012

Frontiera identità comunità

Se la frontiera è sempre una entità mobile e mutevole, ciò vale tanto più per l'età contemporanea, in cui il limite arretra continuamente e continuamente ridefinisce identità, portando alla luce la funzione culturale del confine, culturale in senso antropologico. Una ridefinizione che corre parallela alla costituzione di entità politiche o economiche sovranazionali, che le contraddice e che si ridisegna sempre di più fuori dalla geopolitica. In questa moderna accezione, la frontiera non è più un territorio da attraversare per andare aldilà, per spostare e arretrare il confine fra noto e ignoto. Ora frontiera sta diventando una barriera che protegge gli inclusi da quanto proviene dall'esterno. Ma le nuove frontiere, proprio perché sempre più legate alla nozione di comunità, non sono più visibili, non sono più una linea tracciata per terra, sono sempre più difficilmente attraversabili, se non con gravi costi: Parigi e i quartieri dormitorio della sua periferia sono sempre più distanti e inoltrepassabili, inconciliabili. Così come le frontiere etniche separano popolazioni di uno stesso spazio e di uno stesso mondo. Ciò accade in particolare dove qualcosa (una guerra, la scomparsa delle demarcazioni geopolitiche) rompe la continuità di una comunità che, nel suo formarsi, attraverso gli anni, ha dovuto definire, anche inventandosi, il sé e l'altro (il miraggio titoino e già iugoslavo e austroungarico della convivenza, il melting pot americano); rompendosi la comunità, forme di identità preesistenti, o inedite forme comunitarie (l'identità religiosa nei Balcani, l'orgoglio etnico negli Usa) emergono o riemergono dal passato. Geograficamente la frontiera moderna non è più rilevabile, mentre lo è sempre di più sul piano mitico. Scrive Fabio Natali: “Occupare uno spazio significa distinguere ciò che è abitato da ciò che non lo è […] fondando l’ordine a partire dal caos. In altre parole abitare non significa solo creare luoghi, ma anche non-luoghi, spazi altri. Il delimitare - atto di fondazione del luogo e dunque dell’abitare - implica l’istituzione di una dualità, qualunque essa sia - interno- esterno, ordine-disordine, limitatoillimitato, luogo-spazio, identità-alterità - ovvero significa concepire l’esistenza non solo del sé ma anche di qualcosa di altro-da-sé, un qualcosa certamente più incerto,sfumato, indeterminato, difficilmente qualificabile, ma altrettanto “reale””. La casa, in greco oikos, da cui “economia”. La crisi economica ci insegnerà a pensare, tra le altre cose, un altro modello di “casa”?

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