sabato 2 giugno 2012

Pochi momenti come questi belli


Da molti anni, abbiamo una fenomenologia del calcio che si nutre, oltre che di simboli, di studi sociologici e linguistici. Espressioni calcistiche si sono inserite nel linguaggio della politica (lo “scendere in campo” di un ex presidente del consiglio); leggiamo ovunque metafore pallonare (chi ha un po’ più di anni, come me, ricorda il verbo "dribblare", usato in caso di comportamenti che schivavano ed evitavano). Resistono le partite nei campetti di oratorio, di periferia; nelle località di mare, la partita nel “gabbione” o sulla spiaggia è imperdibile. Il calcio ha prodotto istantanee stampate nel nostro immaginario: la rovesciata di Parola; il gol di Pelé su Burgnich; l’urlo di Tardelli. I miti, i simboli: penso a questo, quando ascolto le notizie sullo scandalo delle scommesse. Dice l’uomo della strada: ma come, guadagnano, a certi livelli, cifre iperboliche, incredibili, e poi lucrano anche sui risultati e vendono le partite? Ha terribilmente ragione. Scriveva il poeta Pier Paolo Pasolini, che era un grande appassionato di calcio e che lo giocava volentieri: «Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del “goal”. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica». Se il calcio non farà grande, profonda, radicale pulizia (sempre che ciò sia possibile, sempre che l’infezione non consenta il recupero dell’arto), quella poesia, quella sovversione del codice, quel momento irripetibile da descrivere (ci ha provato un poeta, Umberto Saba), in cui le persone sono felici, esultano, si abbracciano: “Pochi momenti come questo belli,/a quanti l’odio consuma e l’amore,/è dato, sotto il cielo, di vedere” non sarà più. E allora, a che cosa servirebbe, senza simboli, senza poesia, senza sovversione, senza felicità, un campo in cui ventidue persone in calzoncini rincorrono un pallone?

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