sabato 3 settembre 2011

Il giudizio


Il giudizio è eccelsa facoltà
dell’essere umano. Secondo
Kant (nella foto), è il principio
che consente di ricomporre le
due sfere della ragion pura, che
indaga i concetti della natura
della filosofia teoretica (i quali
consentono di conoscere il
mondo dei fenomeni, quindi un
mondo dominato dal determinismo
fisico e meccanico) e della
ragion pratica, che è il concetto
della libertà dell'uomo razionale,
la sfera delle attività umane
liberamente scelte. Il giudizio,
allora, consente di poter pensare
la natura in modo che le sue
leggi si accordino con la libertà
dell’uomo. Leggi
e libertà: in questo
intervallo, si
situa il principio
del giudizio. Il
termine greco per
giudicare era “krinein”,
per cui il
giudizio è “krisis”,
da cui il nostro
termine “crisi”,
momento di svolta,
di mutamento, di frattura.
Il giudizio è crisi. Paride consegnò
la mela d’oro, riservata
alla dea più bella,
ad Afrodite, e
questo “giudizio”
provocherà l’odio
implacabile di
Atena e di Hera,
le dee scartate,
verso quella città
di Ilio, o Troia,
di cui Paride
sarà riconosciuto
principe, e che
determinerà la sua distruzione.
Ma già Ecuba, la madre, aveva
sognato di partorire un fiaccola
di fuoco distruttore. Ancora un
segno di crisi. Su un altro piano,
Gesù, nel Vangelo di Luca,
dice: “Non giudicate e non sarete
giudicati”. Queste parole, nel
Vangelo di Matteo, sono seguite
da un’altra frase: “Perché osservi
la pagliuzza nell'occhio del
tuo fratello, mentre non ti accorgi
della trave che hai nel tuo
occhio?”. San Giacomo spiega
con una domanda il motivo perché
non dobbiamo giudicare.
Dice: “Chi sei tu che ti fai giudice
del tuo prossimo?”. Il giudizio,
qui, appare misura inadatta
all’umano, perlomeno sul
piano morale: cosa ne sappiamo
di cosa avvenga, o sia avvenuto,
nel cuore del prossimo,
per poter giudicare? Prerogativa
divina: l’immagine di Cristo giudicante
si staglia nell’affresco
michelangiolesco della Cappella
Sistina. Sul piano della finitezza
umana, la democrazia, se ci
pensiamo, non è che la condizione
politica per cui non esiste una
autorità assoluta, legiferante e
giudicante, ma un gioco di contrappesi
di poteri, nella convinzione
che ciascuno può sostenere
i suoi valori, le sue opinioni,
la sua fede, ma non può imporle
agli altri con la violenza o con
la propaganda. Resta da capire,
allora, quale potere garantisca il
giudizio delle agenzie di rating,
che così importanza riveste nelle
nostre economie. Nessuno le
ha elette, nessuno le ha investite
di autorità in un libero gioco
delle parti. E allora? Eppure, per
gli Stati in crisi, queste agenzie
sono novelli Minosse.

pubblicato il 24 giugno 2011

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