sabato 3 settembre 2011

Sì, viaggiare

“La vita è un libro. Chi non viaggia ne legge una sola pagina”. Lo scrive sant'Agostino, che di viaggi se ne intendeva: visse tra il Nordafrica e l’Italia, Ippona, Cartagine, Roma, Milano. Siamo in estate, tempo di viaggi, complici le ferie ed il bisogno di cambiare aria, orizzonti, contesti. Quando non si tratti di un puro atto esibizionistico (quanto sono tristi coloro che dicono: “ho fatto” la Grecia, la Spagna, Cuba o la Namibia che siano …), viaggiare è naturale, consustanziale all’essere umano. Val la pena ricordare il carattere nomade di tante popolazioni primitive, una tenda per casa e la volta celeste sul capo; o il prototipo del viaggiatore affamato di conoscenza, Odisseo, tentato dal desiderio di gettar l’ancora in un porto sicuro, ma affascinato da tutto quanto non conosce e non sa, che siano i Lotofagi o la malia di una maga affascinante. L’Ulisse dantesco, dall’Inferno, racconta: “e misi me per l’alto mare aperto”. Primo Levi, dopo un viaggio terribile, un viaggio all’inferno di Auschwitz, si sforza di recitare a memoria al suo amico Pikolo i versi del XVI canto e si ingegna a spiegare la potenza espressiva di quel “misi me”, la scelta finale, l’uomo che va incontro alla propria sorte, che non si accontenta di piccoli orizzonti ma vuole andare “più in là”. Epitome del prometeismo occidentale, grande narrazione, immensa. Sarà così per Cristoforo Colombo, che intendeva “buscar el levante por el poniente”, e trovò il Nuovo Mondo. E Neil Armstrong, primo uomo a sbarcare sulla Luna, disse che era un piccolo passo per l’uomo, ma un salto gigantesco per l’umanità. Sarà che, come sostiene un grande analista americano contemporaneo, Daniel Stern, noi esseri umani riceviamo impressioni di vitalità così come respiriamo l’aria, e centrale, nella vitalità, è il movimento, che diventa una sorta di fenomenologia dell’essere: un profilo temporale che si caratterizza per un inizio del movimento, un suo fluire ed una sua fine. Diventa centrale, in Stern, il corpo, oltre alla parola e alla narrazione: la cognizione è incarnata, la mente è radicata all’interno del corpo, “embodied”. Col corpo capisco, è il titolo di un libro di David Grossman; “per il solo fatto che abbiamo un corpo, il mondo è ordinato per questo corpo; esso è disposto in rapporto alla reazione del corpo”, scrisse la filosofa Simone Weil: noi siamo ontologicamente determinati da un corpo e da una mente razionale. Conviene allora leggere e meditare queste parole di Marc Augé: “[…] noi non siamo altro che il nostro corpo […] accettiamo il nostro corpo così com’è, accettiamo il passare del tempo. E non dimentichiamo il detto scientifico che riecheggia l’intuizione pagana: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.

pubblicato il 26 agosto

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