sabato 3 settembre 2011

La lingua materna


L’Accademia della Crusca nasce nel
decennio 1570-1580, a Firenze, dalle
riunioni di un gruppo di amici che si
dettero il nome di "brigata dei crusconi".
Il nome alludeva alla volontà di differenziarsi
dalle pedanterie dell'Accademia
fiorentina, ma presto si manifestarono
intenzioni letterarie, dispute e
letture, rivolte in particolar modo verso
opere e autori volgari.
E’ con Lionardo Salviati, detto l’Infarinato,
giunto nel 1582, che l’Accademia
assume il ruolo normativo rispetto
alla lingua italiana che a tutt’oggi mantiene.
Lo stesso termine “crusca” viene
assunto per usare la simbologia relativa
alla farina, separando il fior di farina
(la buona lingua) dalla crusca.
La lingua modella relazioni, azioni,
affetti. Prima di tutto viene la lingua,
la lingua materna. Il pensiero mistico
adopera nel medioevo il volgare, lingua
della parlata quotidiana, per affrontare
il legame con Dio, perché in esso si
ravvisa una ricchezza che nasceva da
uno scambio più intenso con la realtà
e con il contesto. Soprattutto l’esperienza
femminile della lingua è molto
intensa. Scrive la filosofa Chiara
Zamboni: “[…] la lingua materna può
portare luce, attraverso le prime esperienze
dell’infanzia con la madre, affettive
e di senso al medesimo tempo, a
questioni più legate allo studio stesso
della lingua. […] Soprattutto l’arbitrarietà
del rapporto tra il significante e
il significato e tra il segno e il referente”.
Attorno alla questione della lingua
materna se ne aprono altre, come
quella del rapporto tra la lingua materna
e le altre lingue che si imparano,
quella dello scambio con gli stranieri in
Italia, e il rapporto tra la lingua materna
e i saperi, che hanno lingue tecniche.
Continua la filosofa: “Le bambine
e i bambini entrano in rapporto diverso
con la lingua materna, perché hanno
un rapporto diverso con la madre. Una
bambina ha un rapporto d’amore con
la madre e in un secondo momento,
quando costruisce una propria identità
entrando in modo attivo nel linguaggio,
si trova a rielaborare il legame con
la madre sulla base di una identità di
genere, che è costruita socialmente
e secondo codici, e che è in comune
con lei. Un bambino ha un rapporto
originario d’amore con la madre, però
costruisce la propria identità sulla figura
maschile. Per cui ha un legame e
uno slegame con la madre e quindi con
la lingua materna. Una bambina invece
ha un doppio legame con la madre
e un rapporto di continuità con la lingua”.
E, grazie alla capacità simbolica
della lingua materna, nasce un vero e
proprio rapporto ludico con il mondo.
Lingua e gioco, fantasia, filastrocche,
poesie, calembours, giochi linguistici,
fino ad arrivare ai giochi linguistici del
grande filosofo Wittgenstein, secondo
il quale il linguaggio è caratterizzato
da una molteplicità di forme che non
può essere stabilita una volta per tutte:
il linguaggio è un'attività o una forma
di vita. Cosa sono i giochi linguistici?
Per esempio, dice il filosofo austriaco:
dare ordini, eseguirli, descrivere un
oggetto, riportare un evento, riflettere
su un evento, recitare cantare, fare
uno scherzo o raccontarlo, tradurre da
una lingua all'altra, chiedere, ringraziare,
augurare, pregare... E così, sembra
che torniamo, in un certo senso, a quegli
antichi giochi fiorentini, i giochi dei
crusconi.

pubblicato il 29 aprile 2011

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