sabato 3 settembre 2011

L'esistenza politica


Uno dei nuclei fondamentali della
riflessione di Hannah Arendt (nella foto),
grande filosofa tedesca, emigrata negli
Usa a causa della persecuzione nazista,
è lo studio del fenomeno del totalitarismo.
Arendt parla, a questo proposito,
di una frattura nella storia d’Europa, una
"lacuna tra passato e futuro". Lacuna
che si collega al concetto di autorità della
tradizione, che cementa il legame con
il passato, ma, attraverso fraintendimenti
e mutamenti di senso del pensiero, ne
crea un senso ambiguo.
Ne deriva, dice Arendt, anche la crisi
del concetto stesso di educazione,
visto che chi se ne assume il compito
deve mediare tra nuovo e vecchio.
“L’educazione è il momento che decide
se noi amiamo abbastanza il mondo
da assumercene la responsabilità e salvarlo
così dalla rovina, che è inevitabile
senza il rinnovamento, senza l’arrivo dei
giovani”. L’assunzione di responsabilità
è un grande tema della filosofa, che
lei sviluppa anche in rapporto all’analisi
problema ebraico e dell’antisemitismo.
La condizione ebraica, simbolo dell’alienazione
dell’uomo nel mondo moderno,
può costituire un punto di partenza
per cercare una dimensione autentica
dell’esistenza politica, nella quale sia
possibile riconoscere il significato della
propria nascita, della propria appartenenza
al mondo: poiché la nascita è
una “irriducibile unicità”, che però inserisce
l’individuo sulla scena del mondo,
in una rete relazionale, in una pluralità
umana, cosicché può trasformarsi nella
capacità di trascendere la propria singolarità,
nel conseguimento di fini condivisi.
L’ebraismo di Arendt è assai lontano
dalla cultura dell’assimilazione: l’autrice
sceglie la posizione di chi accetta
di essere un libero pariah, assumendo
la condizione della diversità e dell’esilio,
piuttosto che un integrato privo di
identità politica e culturale. L’agire libero:
esporsi, apparire, riconoscere e farsi
riconoscere. Una posizione che Arendt
conferma nella sua idea di uno Stato
ebraico: più che uno Stato, una patria
ebraica, uno spazio unico, un mondo
comune, in cui ebrei e arabi non solo
potessero sopravvivere, ma anche recuperare,
attraverso l’azione politica libera,
il senso autentico della loro esistenza.
Vivere nella patria ebraica significava,
per Hannah Arendt, appartenere ad
una comunità politica fondata sull’azione
libera e responsabile. Ma perché questo
spazio pubblico della realizzazione e
del compimento del sé potesse essere
costituito, riconosciuto e difeso come
condivisione del potere, come diritto di
parlare e di essere ascoltati, era necessario
rifiutare gli aspetti più nazionalistici
del sionismo e che, pur mantenendo
le loro aspirazioni ad operare entro una
cornice politica e culturale nazionale,
riconoscere i diritti delle altre nazionalità.
Gli avvenimenti in quell’area del mediooriente
dimostrano quanto queste idee
fossero lungimiranti.

pubblicato il 6 maggio 2011

Nessun commento:

Posta un commento