sabato 3 settembre 2011

Oceano mare

“E misi me/per l’alto mare aperto”. È l’Ulisse di Dante. Narra una leggenda che Ulisse, tornato a casa ad Itaca, non pago del porto sicuro e della felicità domestica con Penelope e Telemaco, chiedesse al dio suo nemico, ma nume tutelare di quell’elemento che lo aveva stregato, già, proprio il mare, il dio Poseidone, che cosa dovesse fare per avere pace dell’anima. Il dio, attraverso un oracolo, gli rispose che avrebbe dovuto camminare a lungo, a lungo, con un remo sulla spalla, fino a giungere in un luogo in cui il remo – il mare – non fosse conosciuto. Allora immaginiamo Ulisse, Odisseo, che se ne va per contrade sempre più lontane, e tutti gli chiedono “perché porti un remo in spalla?”, e lui prosegue, tacendo, contrito ma deciso. Finché giunge in una terra lontana, in cui gli chiedono: perché porti in spalla una pala per battere il grano? E lui capisce che è arrivato al termine del suo peregrinare. Era così incredibile, per i greci, che qualcuno potesse ignorare l’esistenza del mare. Ci voleva Ulisse, Odisseo, per assumersi questa sfida. “Navigare necesse est, vivere non est necesse ("Imbarcarsi è indispensabile, vivere no"), è l'incitazione che, secondo Plutarco nella Vita di Pompeo, lo stesso Pompeo diede ai suoi marinai, i quali opponevano resistenza ad imbarcarsi alla volta di Roma a causa del cattivo tempo. Ma dalla tolda non si ha mai, mai, la stessa percezione dei flutti che si ha stando in acqua, per diletto – avviluppati dall’acqua che ti avvolge, ti accarezza, ti blandisce, elemento primordiale – o per fato – naufraghi. Di naufraghi, oggi, è pieno il nostro mare. Anime dei naufraghi, partiti dalle coste dell’Africa – proprio come fece Odisseo, lì giunto dopo l’assedio di Troia). Noi ci immergiamo nelle acque del mare nostrum e non siamo consapevoli che è mare sepolcreto di migliaia di corpi e di anime. Un tempio. Dovremmo immergerci con animo colmo di consapevolezza e voci salmodianti la speranza, l’agonia, la morte. Il distacco. Può aiutarci a conoscere noi stessi, gnoti sauton. Per conoscersi, occorre immergersi. Sentire il mare dentro. Nuotare, infrangere lo specchio narcisista e consolatorio della superficie. Immergersi e farsi corpo con l’acqua. A occhi aperti.

pubblicato il 2 settembre 2011

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