venerdì 12 agosto 2011

Felicità pubblica, felicità privata


“Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici che lo avevano legato ad un altro ed assumere tra le altre potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina, un giusto rispetto per le opinioni dell'umanità richiede che esso renda note le cause che lo costringono a tale secessione. Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso di governanti; che ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo governo....”. E’ l’incipit della Dichiarazione d’Indipendenza delle 13 colonie inglesi del Nordamerica, proclamata a Philadelphia il 4 luglio 1776. Desidero sottolineare due aspetti, tra i molti che emergono da questo bellissimo brano. Il primo: si ritiene doveroso dichiarare i motivi di una scelta politica importante e fatale. Un esempio di verità intellettuale, di rispetto verso l’orizzonte del mondo in cui si vive. Un esempio da indicare a chi interpreta la politica nel senso, sicuramente deteriore, del machiavellismo, per cui è preferibile dissimulare, celare, sviare, rivendicando il primato della menzogna. L’altro aspetto è costituito dalla felicità come dimensione primaria dei diritti inalienabili della persona, insieme alla vita ed alla libertà. La felicità non è dunque possibile, se non sta insieme alla vita ed alla libertà. Torno ad Hannah Arendt, una pensatrice che ha riflettuto, in maniera originale e profonda, sullo spazio di un agire politico che non sia solo angusta difesa degli interessi materiali o mera partecipazione elettorale. Arendt riprende il pensiero della Grecia classica: la sola cosa che può riscattare la vita dai tanti orrori possibili (e lei pensava, tra tutti, all'orrore del totalitarismo) è l’esperienza della cittadinanza: una relazione fra uguali, un discorso appassionato fra cittadini che, a turno, parlano e ascoltano. L’oggetto di questo discorso è il bene comune, e soltanto le parole dette sul bene pubblico, la libertà di esprimersi in occasioni pubbliche rivelano il nostro io. E’ il nucleo, per Arendt, del valore della cittadinanza, ed è la dimensione della felicità pubblica, che è una componente essenziale della felicità privata. Ancora, quindi, balza ai nostri occhi il nesso potente tra libertà, vita e felicità, che ci sollecita ad uscire da noi stessi per andare incontro al mondo.

pubblicato il 6 agosto 2010

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