sabato 27 agosto 2011

La felicità della terra-madre


“Il nostro benessere economico è in costante aumento, ma come risultato noi non siamo più felici”. Sono parole di un libro di Tibor Scitovsky, “L’economia senza gioia”. Scrive l’autore che, per amore del comfort, avviene che trascuriamo molti altri ingredienti della “vita buona”. È una sorta di paradosso della felicità, già individuato dall’economista Richard Easterlin nel 1974, quando, dalla sua indagine, emerse che nel corso della vita delle persone la felicità e il reddito non vanno di pari passo, e che non esiste una correlazione significativa e robusta tra reddito e felicità soggettiva. Una possibile chiave di lettura è che, aumentando il reddito, aumentano anche le aspirazioni: una sorta di vite senza fondo. Alcuni economisti individuano in questo processo l’azione di meccanismi di competizione e di rivalità, una sorta di “competizione posizionale”. Scrive Scitovsky: “La spiegazione più evidente è che la felicità di una persona dipende dalla sua relazione con la felicità dei ‘vicini di casa’ e non dal suo standard di vita in termini assoluti”. Qual è la soluzione? Coniugare il comfort con la stimolazione, con il “bene di creatività”, come lo chiama l’economista Hawtrey. Scitovsky individua un eccessivo aumento della domanda e dell’offerta di comfort, a scapito della stimolazione. È una tendenza rafforzata anche dalle caratteristiche del sistema educativo, che fornisce sempre più abilità produttive,con l’obiettivo di assicurare una maggiore efficienza nel lavoro, a scapito dell’abilità nel consumo dei beni di creatività, che richiedono conoscenze generali frutto anche di una cultura umanistica. “Non ci sarebbe nulla di male a richiedere alle cassiere o ai ragazzi della stazione di benzina un diploma di scuola media o superiore, se questi certificati li rendessero in grado di apprezzare di più i libri che leggono o la musica che ascoltano, mentre aspettano di servire i loro clienti. Nella maggior parte dei casi, invece, i loro diplomi forniscono loro delle abilità di produzione, che il più delle volte rimangono inutilizzate e che hanno ‘spiazzato’ quel tipo di educazione che avrebbe preparato loro al miglior apprezzamento del loro tempo libero”. Quanto alla stimolazione, essa “proviene dall’infinita varietà, imprevedibilità, e occasioni di contatto umano, soprattutto quando ci assumiamo il rischio di ‘stuzzicare’ e stimolare l’altra persona”. Una cultura della relazione, quindi. Un altro grande economista, Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, ha elaborato l’Hdi, lo Human Develompent Index, il coefficiente di misurazione del grado di sviluppo che ha introdotto nuovi parametri per valutare la ricchezza reale di un Paese, come l’aspettativa di vita, l’alfabetizzazione degli adulti, la distribuzione del reddito: gli aspetti sociali dell’esistenza umana. Per Sen, le libertà politiche e i diritti democratici sono elementi costitutivi dello sviluppo: la sua è un’architettura di pensiero che tiene conto dell’aspetto relazionale, accanto a temi come l’economia sostenibile e la finanza etica. La relazione tra le persone tiene a freno il rischio della “fissazione” identitaria, tipica del fondamentalismo, che chiede di essere solo quella cosa, negando alla persona la sua storia e la sua complessità. Anche la cura della relazione è “un bene di creatività”. In sua assenza, prevalgono la drastica riduzione a pensare al futuro collettivo, la privatizzazione e la desertificazione del futuro. Su questa base, il filosofo Remo Bodei traccia un’idea di sviluppo che non consiste in una maggiore ricchezza di beni materiali, ma anche e soprattutto in un processo di trasformazione sociale in grado di eliminare le fonti principali di illibertà come l’ignoranza, la malattia, la mancanza di democrazia, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse ambientali. Per dirla con Vandana Shiva, studiosa dal pensiero ricchissimo: occorrono una democrazia che parta dalle realtà locali, dalla partecipazione e vigilanza attiva dei cittadini, per rivendicare la restituzione delle risorse comuni alla collettività; e una cultura che promuova il rispetto della diversità e il sentimento della responsabilità universale. Il rispetto dovuto alla terra: la terra come terra mater.

pubblicato l'11 marzo 2011

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