domenica 21 agosto 2011

PORTE

Il grande storico romano Tito Livio ricorda che il re Numa Pompilio aveva dedicato un passaggio coperto, una vera e propria porta, a Giano, dio dei “passaggi”, come testimonierebbe una radice indoeuropea rintracciabile nel suo nome; dio “mattutino”, poiché il mattino è la porta del giorno; Giano bifronte, Giano procreatore. Poiché bifronte è la vita, che si apre tra due passaggi, quello nativo del venire al mondo e quello finale della morte. Pare che sia rintracciabile nel suo nome anche una radice verbale che rimanda all’”andare”, perché, secondo Macrobio, “il mondo va sempre, muovendosi in cerchio e partendo da sé stesso a sé stesso ritorna”. Tema, quello dell’eterno ritorno, il cui grande esegeta è stato Friedrich Nietszche. Ha scritto Emanuele Severino: “[…] se c'è un Dio, non ci può essere il divenire consistente nella creatività del volere [ma se] intendiamo il divenire come un processo in cui il passato è l'immodificabile, l'irrecuperabile, l'indominabile da parte della volontà, allora la volontà si trova di fronte al passato come di fronte a un Dio, e anzi l'immutabilità del passato presenta i tratti più caratteristici del divino, appunto la sua intoccabilità: il passato è l'ormai intoccabile […] sul fondamento di questa fede, come è impossibile un qualsiasi Dio, così è impossibile un passato il quale si costituisca come immodificabile”. Ci sono porte tra passato, presente e futuro, che la razionalità non intuisce, e la soccorre l’immaginazione. “L'immaginazione non è uno stato mentale: è l'esistenza umana stessa”. Sono versi di William Blake, poeta inglese, la cui scrittura densa di metafore apre una selva di significati. “Tigre! Tigre!/ Fiamma splendente/Nelle notturne foreste/ Quale mano, quale occhio immortale poté formare/La tua simmetria terribile?”. Anche Blake parla di porte: “Se le porte della percezione fossero sgombrate, ogni cosa apparirebbe com'è, infinita”. È forse il segno più immediato della semantica legata alle porte: lo schiudersi di un orizzonte che può darsi infinito. Che cosa sono le colonne di Ercole, se non porte? Sono poste a guardia di uno stretto che, come molti altri, viene definito "bocca": la bocca che è inizio della navigazione all'esterno e fine di quella all'interno. Ancora, fine e inizio, nascita e morte. Ne brano che citavamo all’inizio, Livio prosegue narrando che, in periodo di guerra, la porta veniva tenuta aperta, perché il dio doveva uscire per poter assistere i soldati romani; mentre, in Tempo di pace, era chiusa, perché il dio rimanesse nella città. Orfeo, grazie alla musica, oltrepassa le porte degli inferi per cercare l’amatissima sposa Euridice. Ade concede ad Orfeo di riportare Euridice con sé, ma a un patto: lui non avrebbe mai dovuto voltarsi a guardarla prima di arrivare nel mondo dei vivi (così il Poliziano: "Io te la rendo, ma con queste leggi: / che lei ti segua per la ceca via/ ma che tu mai la sua faccia non veggi / finché tra i vivi pervenuta sia!"). Ma Orfeo teme di perderla, ed è preso da irrefrenabile desiderio di vedere la sua amata: si volta, per un attimo, ed Euridice impallidisce, si allontana, irrimediabilmente. Orfeo si dispera (“Che farò senza Euridice?”, così canta nell’opera bellissima di Gluck), ma ha oltrepassato una soglia severissima, che non ammette pietà. Ancora una volta, la porta come soglia tra vita-morte, morte-vita.

pubblicato il 7 gennaio 2011

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