sabato 13 agosto 2011

Il giuoco


Per secoli, la cultura ha considerato il bambino come un essere neutro, ancora non formato, non dotato di soggettività. Scriveva Charles Fourier: «Il bambino non è l’uomo. Esso è il neutro interno al genere stesso, un nulla, un non-essere che ha, nondimeno, la proprietà d’essere universale ed insieme utopico». Eppure, l’antichità classica – pensiamo alla paideia greca – aveva elaborato un sistema di pensiero e di tecniche assai sofisticato per educare il fanciullo, preparandolo alla vita. Il termine si arricchì di significato, fino a tradursi nel latino “humanitas”: la cultura, l’educazione come valore della personalità. In questa educazione aveva parte anche il giuoco. Il giuoco, nel contesto della spiritualità greca, concorreva all’espressione unitaria di sé, in uno spazio e in un tempo ideali, dominio dell’euritmia: armonia di forme, di linee, di suoni e di movimenti. Voglio suggerire una chiave di lettura, per capire quanto il giuoco sia importante per la formazione del bambino, e lo rimanga, anche, per l’adulto. Libertà e regole: il giuoco nasce da questa dicotomia. Per poter giocare, l’individuo si sottopone liberamente ad un insieme arbitrario di regole. Per poter vivere con i propri simili, l’individuo deve crearsi un equilibrio tra regole e libertà, e il giuoco è un potente addestramento in questa direzione. Per questo, le e esperienze ludiche segnano un importante snodo nell’evoluzione della persona e delle dinamiche di gruppo, non solo dal punto di vista cognitivo, ma anche delle competenze relazionali e morali. Ancora: per capire gli sviluppi dei modelli macroeconomici o politici su larga scala, si utilizza la teoria dei giuochi, che studia le questioni e le posizioni legate all'interdipendenza tra i soggetti partecipanti ad un giuoco, che sia un giuoco di società, o un negoziato politico, una strategia di mercato, un piano di battaglia, attraverso l’analisi comportamentale dei partecipanti al giuoco stesso. Attraverso questa analisi, e adeguate tecniche di ascolto, si può giungere ad elaborare una strategia di gestione creativa e non distruttiva dei conflitti (Marianella Sclavi ha condotto su questo importanti studi). Il grande filosofo Ludwig Wittgenstein elaborò la nozione di giuoco linguistico, legata all'idea che il significato della parola risieda nel suo uso. Quando si stringe un accordo con qualcuno, si elabora una situazione in cui c'è un numero limitato di mosse che si possono compiere. L'insieme di queste mosse – questa pratica linguistica - costituisce qualcosa di simile ad un giuoco, in cui le mosse sono soggette a regole determinate. Si tratta di una pratica: gli esseri umani agiscono con le parole, e i giuochi linguistici sono, in parte, descrizioni fattuali. Se nei fatti avvengono inciampi e blocchi, è possibile elaborare un nuovo giuoco linguistico, sbloccare la situazione. Wittgenstein ci suggerisce: “guardala così”, da un’altra prospettiva. Un senso libero e dinamico del pensare, del parlare, dell’agire.

pubblicato il 24 settembre 2010

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