sabato 13 agosto 2011

Uscite da Babilonia-L’esilio


«Uscite da Babilonia, fuggite dai Caldei;/ annunziatelo con voci di gioia, diffondetelo,/ fatelo giungere fino all'estremità della terra./Dite: Il Signore ha riscattato il suo servo Giacobbe» (Is 48, 20). E’ il canto di gioia biblico che annuncia la fine dell’esilio del popolo di Israele. “L’esiliato finisce per avere solo un orizzonte senza realtà, l’illimitato deserto, un oceano senza nessuna isola in vista, senza reale orientamento, puntod’arrivo o meta da raggiungere”: lo scrive María Zambrano, filosofa spagnola, allieva di Ortega y Gasset, che nel 1939, a seguito della guerra civile spagnola e della dittatura franchista, lasciò la Spagna e visse in esilio tra Europa e America latina. L’esilio è la dimensione di una “patria sconosciuta” nella quale si schiude quell’immensità e “nudità dell’essere uomo” che rivela il “desnacer”: “sprofondare nel prima di essere nato” per disfare la nascita e sentire la possibilità della trasfigurazione: una sorta di “vita nova”. L’aprirsi di una possibilità nuova: è un punto di vista. Abbiamo poi l’esperienza testimoniata di esiliati, che ne parlano come di una malattia mortale, che corrode l’esistenza e la memoria, nutrita da rimpianto e nostalgia, una malattia da cui non si guarisce mai. Dante parla dell’esilio, che subirà e che gli preconizza Cacciaguida: “Tu lascerai ognecosa diletta/più caramente […] Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/lo scendere e 'l salir per l'altrui scale”. Walter Benjamin, straordinario pensatore tedesco, morì suicida nella notte tra il 26 e il 27 settembre del 1940 a Port Bou, mentre cercava di raggiungere, attraverso la Spagna, Lisbona e un volo per gli Stati Uniti, disperando ormai, lui ebreo, di potersi sottrarre alla cattura da parte delle truppe tedesche che avevano invaso la Francia. Benjamin è stato un protagonista, oltre che della cultura e della filosofia, di quel fenomeno variegato e vasto che fu l’esilio europeo nel Novecento. Come Zambrano, come Hannah Arendt, ebrea tedesca, che fuggì prima in Francia, poi negli USA. Quella di Benjamin è stata una vita mutilata dalla barbarie che si scatenò in Europa: lo ha scritto Theodor Adorno. Benjamin, critico lucidissimo della contemporaneità, era uomo dal molteplice sapere, “sociologo dei media, filologo erudito, critico d’arte e di teatro, traduttore, filosofo della storia, analista letterario […], cartografo della memoria e sottile esploratore del paesaggio urbano [Saletti]. Aveva trascorso anni esule in Francia, esplorando, con sguardo acuto, i diversi campi del sapere e sottoponendoli ad una critica capace di aprire orizzonti nuovi, nuove prospettive. La sua scarsa capacità pratica, il senso della predestinazione alla sconfitta, una personalità incapace di farsi lupo in un tempo di lupi: ne ha lasciato un ritratto struggente Lisa Fittko, con lui in quelle giornate terribili a Port Bou: “continuava a rivolgersi a me chiamandomi gnädige Frau, cortese signora. Un'espressione desueta…”. Non riuscì a resistere alla tempesta di cui aveva parlato nelle “Tesi di filosofia della storia”: «C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, al bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta».

pubblicato il 1 ottobre 2010

Nessun commento:

Posta un commento