domenica 14 agosto 2011

Libertini e libertinismo


Da sempre, posso dire, pongo particolare attenzione agli usi linguistici ed alle frequenti torsioni semantiche che di tali usi sono conseguenza. Prendiamo, ad esempio, il termine “libertino”, che, nella vulgata linguistica, ha assunto una connotazione un po’ licenziosa e depravata. Anche un celebre quadro di William Hogarth, “La carriera del libertino: la taverna”, presenta una scena scomposta, dove dominano ubriachezza e prostituzione. In realtà, il libertinismo è una corrente culturale importantissima, che nasce nel Seicento ed ha, come caratteristica principale, la critica dell’ortodossia religiosa e del principio di autorità, in nome dell’autonomia della ragione. Il termine deriva dal latino “libertus”, lo schiavo liberato. Sta germinando il pensiero per cui il sonno della ragione genera mostri, ed il secolo dei Lumi è alle porte. La Chiesa cattolica, per contrastare l’evento epocale della Riforma protestante, ha creato, con la Controriforma, un quadro di rigida restaurazione dell’ortodossia, in campo religioso, morale, etico, artistico. Le radici del libertinismo affondano nell’umanesimo rinascimentale, con la rivendicazione della centralità dell’uomo e delle sue autonome capacità intellettuali e la costruzione di stili di pensiero che mettono in forte discussione una tradizione culturale connotata pesantemente dal filtro religioso. Si potrebbe dire che il libertino nasce dall’uomo di Leon Battista Alberti: un uomo che si pone al centro del suo mondo, e cerca di studiarlo, interpretarlo e comprenderlo attraverso la propria ragione. In questo senso, il libertinismo cerca riferimenti nella filosofia stoica – una morale razionalistica e non garantita da un’autorità superiore -, nel pensiero scettico e, finalmente, nell’epicureismo: corrente filosofica a forte segno materialistico e mondano. Come si vede, una tradizione culturale di tutto rispetto - in cui trova spazio sicuramente anche l’aspetto della valorizzazione dell’erotismo - che combatte il dogmatismo religioso e l’assolutismo politico (non a caso, due esponenti come Giulio Cesare Vanini e e Theophile de Viau, tra la fine del ’500 e gli inizi del ’600, sono l’uno giustiziato, l’altro incarcerato; il radicalismo politico, peraltro, è un aspetto che man mano viene a cadere). Pensiamo a Cyrano de Bergerac ed alla sua critica alle credenze religiose: “[…] Dio, del tutto immutabile, non potrebbe adirarsi con noi per non averlo conosciuto, poiché è Lui stesso ad averci rifiutato i mezzi per conoscerlo”. Ma la raffigurazione più completa del libertino è Don Giovanni: quello di Moliére (1665) e quello musicato in modo sublime da Mozart, su libretto di Lorenzo Da Ponte. Don Giovanni ha una lunga tradizione letteraria, che parte da Tirso de Molina, passa per Molière, arriva al libretto di Da Ponte, per giungere all’estetica del seduttore di Kierkegaard. Con Da Ponte e Mozart, siamo alla fine del ’700: continua l’interrogazione al libertinismo, per il suo aspetto ideologico, culturale, etico ed erotico, ed i forti rapporti con l’Illuminismo (e già nel precedente libretto mozartiano – Le nozze di Figaro - può riscontrarsi la propensione di Da Ponte verso una ribellione dagli accenti libertini). Il “farfallone amoroso” del “Figaro” si trasforma in un personaggio dalla forte caratterizzazione tragica, in un’opera che è un capolavoro assoluto e sublime di poesia, musica e pensiero. Kierkegaard utilizzerà il tema della seduzione sensuale, emblematizzata da Don Giovanni, nella sua riflessione sull’estetica, da sottrarre tanto alla determinazione del pensiero quanto alla giurisdizione dell'etica. Don Giovanni «non ha bisogno d'alcun preparativo, d'alcun progetto, d'alcun tempo […]» per sedurre, poiché agisce con l'immediatezza del proprio desiderare. La rappresentazione della forza di questa seduzione può avvenire solo attraverso la musica, che è il «medio dell'immediato», per cui “Don Giovanni non dev'essere visto, ma ascoltato!”. Come vedete, il libertinismo ci ha condotti fin qui.

pubblicato il 23 ottobre 2010

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